Cent’anni fa André Citroën illuminò la Tour Eiffel con il proprio nome grazie al genio italiano di Fernando Jacopozzi
12 settembre 1877, Firenze, Regno d’Italia, nasce Fernando Jacopozzi: manca di poco l’appartenere al Granducato di Toscana che già con la Francia aveva diverse connessioni, in ogni caso il suo destino sarà luminoso e si compirà proprio a Parigi dove giungerà poco meno che ventenne in cerca di fortuna e dove diverrà Fernand Jacopozzi, le magicien de la Lumière.
Fernand Jacopozzi, le magicien de la Lumière
Autodidatta ed estremamente creativo troverà lavoro in un atelier di decorazioni e proprio durante i preparativi delle vetrine per il magico periodo natalizio avrà un’idea luminosa. Perché non sostituire la porporina all’interno delle bocce di vetro per far brillare le vetrine con delle lampadine? L’idea, benché ostracizzata dai suoi datori di lavoro, che gli concessero un piccolo angolo di una vetrina, ebbe un successo clamoroso, tanto che nel giro di poco Jacopozzi riuscì ad aprire un laboratorio tutto suo specializzato in decorazioni e ghirlande luminose. La sua maestria fu tale che illuminò l’Opera di Parigi, gli Champs-Elysées, i grandi magazzini, l’Arco di Trionfo, la Colonna di Place Vendome e la stessa Notre Dame.
Jacopozzi e Citroën: l’incontro tra due genî
Nella Parigi di quegli anni, un’altro personaggio fuori dagli schemi portava avanti i suoi progetti, il giovane André Citroën; l’incontro tra i due genî avvenne in maniera del tutto casuale: nel 1914, le truppe tedesche avanzavano rapidamente verso il cuore della Francia, e il Ministero della Guerra decise di fare appello agli industriali che, richiamati al fronte con mansioni da soldati, vennero rapidamente riconvocati per affidare loro incarichi strategici più vicini alle loro possibilità e capacità. Tra di loro c’erano personaggi del calibro di Louis Renaul, i fratelli Peugeot e lo stesso André Citroën. Fernando Jacopozzi era in quella sala del Ministero della Guerra perché doveva essergli affidato un incarico segretissimo che gli valse la Legion d’Onore: gli Zeppelin tedeschi avevano già dato prova della loro micidiale capacità di bombardamento, e molto di più avrebbero fatto negli anni, da quote che li rendevano imprendibili per gli aerei da caccia dell’epoca e persino per la contraerea. Parigi era così facilmente visibile dall’alto che bisognava proprio inventarsi un diversivo, così a Jacopozzi fu conferito l’incarico di “ricostruire”, con le sue lampadine, un pezzo della città nella vicina foresta di Fontainebleau, per ingannare i dirigibili germanici. Fu in quell’occasione che André e Fernando si conobbero, con la promessa di rivedersi a guerra finita, per far qualcosa assieme.
Dall’industria bellica alla motorizzazione di massa
Gli anni passarono e nel 1922 il mondo era abbastanza diverso rispetto ad otto anni prima: la Grande Guerra era finita, i dirigibili tedeschi erano tornati pacifici mezzi di spostamento, André non produceva più granate ma automobili: le celebri 10HP e le nuovissime 5HP stavano motorizzando la Francia e l’Europa tutta, grazie alle economie possibili con la produzione in grande serie importata da André nel Vecchio continente.
Il progetto visionario di Jacopozzi incontra il sogno di André Citroën
Jacopozzi era tornato ai suoi monumenti e il prossimo obiettivo del “mago delle luci” era la Dama di Ferro: la Tour Eiffel. Dopo qualche approccio con industriali meno audaci di Citroën, che iniziavano sempre con entusiasmo e sotto i migliori auspici, e poi si arenavano quando si affrontava il tema dei costi, Jacopozzi si ricordò di André, il visionario che in quell’incontro del 1914 promise 5.000 granate al giorno al Ministero della Guerra, e pochi anni dopo ne forniva 50.000, e lo chiamò.
“Caro André” – deve avergli detto – “l’idea è semplice: mi servono solo 200.000 lampadine, 100 km di cavo e una piccola centrale elettrica che potremmo muovere con le acque della Senna.
Poi potremo scrivere il tuo nome in lettere alte trenta metri, sui quattro lati della Tour Eiffel: sarà l’insegna luminosa più grande al mondo!”
Citroën tentennò qualche minuto: la Tour Eiffel era il suo sogno, da piccolo aveva assistito a tutta l’evoluzione del cantiere, che vedeva crescere dalla sua finestra. In seguito, aveva avviato la sua attività al quai de Javel, praticamente sotto alla Torre e aveva addirittura portato avanti il progetto di usarla come antenna della sua “Radio Citroën”, progetto cancellato dal Governo Francese che, profeticamente, temeva una concentrazione di potere, ricchezza e possesso di mezzi di comunicazione di massa nelle mani di una sola persona. Citroën ringraziò della preferenza accordatagli da Jacopozzi ma scuotendo il capo disse d’essere costretto a rifiutare: gli investimenti fatti sui mezzi di produzione – le titaniche presse americane per le monoscocca – e le altre spese gli rendevano impossibile stanziare una somma come quella necessaria per realizzare il progetto dell’Italiano. Ma la riluttanza durò solo qualche attimo: non digeriva il pensiero che non fosse il Double Chevron a illuminarsi sulla Tour Eiffel e quando l’incontro sembrava giunto a un cordiale commiato, chiese a Jacopozzi dove dovesse firmare per avere l’esclusiva della Torre per dieci anni. I lavori partirono immediatamente: un piccolo esercito di circensi, trapezisti e giocolieri, ex militari della Marina francese, scalatori e acrobati in genere iniziò a montare le strutture con le lampadine sui quattro lati della Torre, mente sull’isoletta della Senna vicina al monumento veniva creata una centrale elettrica da 1.200 kw capace di servire l’intera installazione.
L’accensione, cent’anni fa
L’accensione avvenne il 4 luglio del 1924. Non è chiaro dove fosse André in quel momento: i figli danno due versioni diverse: su un Bateau-mouche che scivolava sulla Senna o sull’Esplanade du Trocadero, in ogni caso André aveva tra le mani un calice di ottimo champagne per brindare all’accensione di quella stessa Torre che avrebbe guidato Charles Lindberg nel suo volo solitario da New York a Parigi e che tanta, tanta pubblicità avrebbe reso al Double Chevron, restando accesa fino al 1934, costituendo per tutti i Parigini e per coloro che passavano per la Ville Lumière un punto di riferimento inconfondibile ed esteticamente bellissimo.
Se Citroën, unico al mondo, è riuscito ad illuminare la Torre con il suo nome lo deve ad un italiano e ancor prima, se Parigi si fregia del titolo di “Ville Lumière”, il merito, oltre che all’illuminismo, va anche al nostro connazionale Fernando Jacopozzi.